mercoledì 30 maggio 2018

Mektoub, My love: Canto Uno - Pensieri riguardo un film che inaspettatamente dura 3 ore.




Di solito non faccio caso alla durata del film che sto per guardare. Questa volta, infatti, ho avuto una bella sorpresa: Mektoub, My love ha tenuto i miei occhi incollati allo schermo per tre ore.

Tre ore di vita, direi. La vita vera, quella che abbiamo conosciuto tutti tra serate alcoliche al bar di fiducia e pranzi ipercalorici in spiaggia, tra nonne e zie che spettegolano sulle passanti.


Wow, direi. Wow perché, fin dall’inizio, grazie alla sua intensità, ci entri dentro a ‘sto cavolo di film. Entri dentro le case dei protagonisti, dentro le loro abitudini e la loro palpabile e giovanile vitalità (anche per chi giovane non lo è più). 


Sicuramente influenzata dal mondo in cui sono cresciuta, io ho visto la verità trapelare da ogni singola scena rappresentata. Mi sembrava di rivivere quelle serate alcoliche di cui parlavo prima, che coinvolgono ogni estate e ogni sabato sera d’inverno il mio piccolo paese. C’è la promiscuità dei genitori brilli che ballano Despacito con le figlie, altrettanto alticce; c’è la scarsità di posti diversi in cui passare la serata, che porta a divertirsi con quel poco che il bar sotto casa e l’unica discoteca del paese offrono: alcool, fumo, sesso; e soprattutto c’è quella voglia di vivere e di sbattersene al c***o delle regole e di chi si è durante il giorno, che, finché gli riesce, ogni giovane vorrebbe mantenere.


Questo film non si vergogna proprio di un bel niente. Sai cosa gliene frega, se durante la scena del parto degli agnelli metà pubblico chiude gli occhi disgustato dalla sua crudezza e irriverenza verso qualsiasi norma della decenza? Niente, perché così è la realtà.

Non posso criticare o biasimare il film perché io vivo così. Tutti viviamo così. Sfido chiunque a negare di aver provato un briciolo d’eccitazione davanti ai balli sexy e provocanti delle ragazze. Sfido chiunque a dire che no, i lunghi dialoghi intrattenuti dai vari membri della combriccola o della famiglia protagonista, non fossero estenuanti, noiosi e rincoglionenti. 

Tutto questo, però, risulta forse nuovo ai nostri occhi? No, perché il film non ci dice nulla di nuovo, se non che, forse, la realtà vista così com’è ha un senso: un senso da cogliere, finché si può, davanti alle difficoltà, tra le piccole cose, immersi nella luce calda di un tramonto estivo.

Fefy, 30/05/2018


  

venerdì 5 gennaio 2018

Sì, Studiare



Sono alle prese con i miei primi esami all’università e sto cercando un metodo di studio che mi aiuti a rendere bene, senza stressarmi troppo. Una richiesta da poco no? Non è mica quello che tutti vorrebbero e che non tutti riescono a trovare…

Insomma, come sempre quando si tratta di studiare, poco fa ero lì che mi distraevo e che mi rimproveravo perché mi stavo distraendo e perché quello che stavo facendo non era abbastanza.

Ma poi mi sono detta: “E se invece fosse abbastanza? Se invece andasse bene così?”

Cercando di dare una risposta a questa domanda ho dato un’occhiata a me stessa e a come ho sempre affrontato lo studio. Ebbene, quello che ho notato è che fino ad ora (e probabilmente continuerò a farlo) ho passato più tempo a stressarmi (faccio tutto da sola!!!) per “come” lo facevo e non per “cosa” effettivamente dovevo fare.

Ho passato pomeriggi seduta davanti ai libri, arrabbiata con me stessa perché ritenevo il mio metodo di studio troppo approssimativo e non perché il carico di studio richiedesse davvero quel tempo! Si tratta di un’infinità di pomeriggi sprecati (anche se alla fine hanno portato a qualcosa di buono), perché passati nel completo terrore di non “star facendo abbastanza”.

Vorrei dire alla me stessa di quei pomeriggi, chiusa in casa a non accettarsi che, guarda un po', avrebbe potuto risparmiarsi un sacco di energie e, piuttosto, compiacersi dei risultati che otteneva.

“Aaaah”, il suono del respiro di sollievo che mi ha causato quest’altra piccola illuminazione. Quest’altro piccolo tassello del puzzle della comprensione e accettazione di sé.

Spero che questa breve riflessione introspettiva possa aiutare qualcun altro ad accettare il suo modo di “fare le cose” ed a non preoccuparsi troppo per questo, bensì per cosa davvero c’è da fare.